Chi comunica , orienta e dirige il proprio sforzo per farsi comprendere, per influenzare, per valutare, per ascoltare ed esprimere: problemi, necessità, interessi, opinioni, ecc.
Tutto ciò ci permette di entrare in relazione di comunicazione con gli altri.
Come esempio di tale atto comunicativo vogliamo presentare come avviene l’investimento di energia che spesso viene richiesto nella relazione tra insegnanti e allievi.
Ciò che il ragazzo comunica all’insegnante è influenzato dalla reciproca percezione.Il processo di percezione è determinato dalla valutazione che si ha della persona con cui si interagisce.
Questa valutazione definisce il processo di attribuzione di intenzioni in funzione dell’azione comunicativa in atto tra gli attori stessi della comunicazione: richiesta di aiuto, valutazione, ordine, sanzione, ecc…
L’allievo, in relazione alla sua attribuzione verso l’insegnante, per comunicare deve investire la sua energia in differenti aspetti, tra cui:
1. Comprendere ciò che l’insegnante vuole;
2. Capire come dovrebbe dire ciò che l’insegnante desidera;
3. Prestare molta attenzione a non dire o esprimere non verbalmente ciò che l’insegnante non vuole sentirsi dire, viceversa fornire la risposta attesa;
4. Far comprendere all’insegnante ciò che egli stesso desidera.
Se ci troviamo in un clima relazionale di tipo giudicante /doveristico o in una situazione in cui non si sono mai elaborate congiuntamente, le reciproche attribuzioni insegnante-allievo, una grande quantità di energia verrà utilizzata dal ragazzo per auto-controllarsi in funzione dei punti 1 e 3 sopraesposti.
E’ chiaro che un processo di questo tipo si sviluppa a danno dell’energia utilizzabile invece in favore di una comunicazione efficace espressa dai punti 1 e 4 in funzione di un miglioramento dell’ apprendimento e di una interazione più soddisfacente per entrambi gli attori.
UNA CHIAVE DI LETTURA RELAZIONALE
Quando due persone si incontrano cercano di stabilire delle relazioni e di comunicare, essenzialmente per ottenere dei segni di riconoscimento che potremmo definire con: stimolo, contatto, carezza, toccare, colpo, far centro, riconoscere l’altro, colpirlo, gratificarlo, attaccarlo,… comunque, dirgli che esiste e che ha importanza, nel bene e nel male. Queste carezze possono infatti essere considerate come delle reali unità di misura delle relazioni umane. Infatti, più la carezza sarà intensa, oppure svalutante, più la relazione sarà considerata come positiva, oppure negativa, dalla persona. Così, secondo l’Analisi Transazionale, l’intensità o la colorazione piacevole o spiacevole delle nostre relazioni umane possono essere caratterizzate e in un certo modo misurate, facendo riferimento al grado di carezza scambiate.All’origine di tutti i nostri rapporti esiste questo bisogno imperioso di carezze. E’ una vecchia storia! Un individuo non può sopravvivere, se non a condizione che gli altri si occupino di lui, pensino a lui, manifestino sentimenti nei suoi riguardi: ciò si traduce in scambi, verbali e non verbali e in contatti psichici : conversazione sorrisi, sguardi significativi, strette di mano, baci o carezze.Ciascuno ha bisogno di essere riconosciuto e di riconoscere l’altro, di scambiare carezze: “io esisto, tu esisti” (cfr. le esperienze effettuate su neonati che muoiono per carenza di contatti fisici). OKEITA’ Questa sete di carezze è così importante che è stato provato che un individuo preferisce ricevere dagli altri carezze negative, piuttosto che non riceverne.LE CAREZZE A SCUOLAIl condizionamento culturale europeo non favorisce né l’espressione, né l’accettazione delle carezze positive, siano esse condizionali, per cui l’altro è riconosciuto per quello che fa, o incondizionali, per cui l’altro è riconosciuto per quello che è, potendo ciascuna essere positiva o negativa.
E’ un’affermazione che si può già verificare in famiglia: i genitori danno molta più importanza al brutto voto del loro figlio in una materia, che alla sua buona riuscita in un’altra disciplina.
Analogamente può accadere tra i diversi ruoli che interagiscono nella scuola, per cui un incarico affidato in ottica collaborativa e ben svolto è considerato una cosa normale e non sarà sanzionato positivamente, per contro, un insuccesso sarà sottolineato e commentato.
La carezza positiva è invece determinante se si vuole rafforzare l’impegno nel lavoro di una persona.
La stessa cosa è vera anche nel rapporto pedagogico. E’ nota infatti l’importanza d’aumentare l’interesse in colui che impara, per stimolare in lui il desiderio di continuare ad imparare. Ora, per le stesse ragioni di condizionamento culturale l’insegnante spesso è portato a non lasciarsi andare ad “accarezzare positivamente” l’allievo, come, allo stesso modo, quest’ultimo non s’aspetta di ricevere una carezza positiva.
All’opposto, sanzionare negativamente è ammesso, anche se è meno efficace.
Questa negazione di carezze positive si spiega col fatto che l’insegnamento è basato sulla differenza illusoria tra l’insegnante che sa, che ha ragione, che corregge e l’allievo che non sa, che ha torto, che deve essere emendato.
La carezza positiva, in un simile contesto, ha sentore di favoritismo (il beniamino) ed è vissuto dalle due parti come colpevolizzante.
Quando l’insegnante è confermato nel suo valore di pedagogo, vale a dire quando constata che l’allievo lavora bene, la carezza positiva che gli dà è, alla fine, una carezza che dà a se stesso, ma non appena la difficoltà del compito lo rimette di fronte alla sua incapacità di pedagogo, alla sua difficoltà di individuare la spiegazione adeguata alla comprensione dell’allievo, egli toccato nel suo Bambino Adattato che non riesce, provvede subito ad accarezzare negativamente l’allievo e in maniera incondizionata.
Si può dire nello stesso modo, che è a se stesso che indirizza quella carezza negativa?
E’ sempre lui che determina la realtà della situazione, è l’allievo che ne fa le spese. Ed è così che si deteriora il rapporto pedagogico. Imparare ad “accarezzare” positivamente l’altro non è cosa comune.
Tuttavia ciò rafforzerebbe la sua motivazione, gli darebbe fiducia e lo condurrebbe verso la riuscita.
Una pedagogia fondata su carezze positive è molto più efficace di una pedagogia repressiva fondata su transazioni di dipendenza e subalternità (Genitore Critico – Bambino Adattato), e la relazione interpersonale così creata è positiva sia per l’insegnante che per l’allievo.
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